Geco For School | Percorso di Green Education
Oggi intervistiamo Valeria Barbi, politologa, naturalista, esploratrice e docente. È esperta di biodiversità, cambiamenti climatici e crisi ecologica. Consulente e autrice di “Che cosa è la biodiversità oggi” edito da Edizioni Ambiente. Attualmente è impegnata in un reportage tra Alaska e Argentina.
Viviamo in un mondo caratterizzato da una grave crisi ecologica che è stata determinata dalle attività umane. L’uomo, nel corso della sua evoluzione, ha sviluppato un modello sociale basato su economia e politica quindi per andare a lavorare sulle sue attività, per andare a modificare questo sistema che evidentemente non va più bene, è necessario lavorare sulle politiche affinché lavorino per l'ambiente e compatibilmente con le necessità del Pianeta, non solo quelle dell'uomo.
Un contributo fondamentale, in questo senso, arriva dalla Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica e quella delle Parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici, che si tengono ogni anno - tra novembre e dicembre - e fanno il punto sugli impegni presi dagli Stati e discutono su cosa fare e come farlo al più presto.
In questi ultimi anni si è parlato, e si parla moltissimo, di sostenibilità spesso tralasciando alcuni dei suoi pilastri fondamentali. Siamo bombardati di informazioni e consigli da applicare alla nostra quotidianità per mitigare la crisi climatica e per avere un impatto minore sull'ambiente ma si discute ancora troppo poco del concetto di biodiversità e di quanto, questa, sia il pilastro della nostra esistenza. Senza biodiversità noi non potremmo vivere e non esisterebbe neanche il modello economico su cui invece abbiamo basato il nostro modello di sviluppo. Da qui la mia personale battaglia, il mio impegno che, in effetti, nasce da una fascinazione verso il mondo naturale che conservo da quando ero bambina e che si è sviluppata con l'esperienza e lo studio. Persino i miei romanzi di formazione sono inni alla libertà e al rispetto del mondo naturale, alla ricerca di un nuovo rapporto con la natura: da Il richiamo della Foresta di Jack London, a Il Barone Rampante di Italo Calvino. Da lì in poi, autori come Lorenz, John Muir, Humboldt… E tanti altri, che mi hanno fatto capire quanto fosse importante la natura ma soprattutto quanto l’uomo ne facesse parte pur negando di essere una specie tra altre milioni di specie del pianeta. Il mio amore per la natura nasce così: sulle orme di grandi esploratori, alcuni vicini e altri lontani dalla mia quotidianità. Infatti la definizione di esploratrice mi piace moltissimo perché trovo che tutte le mie scelte professionali siano state motivate da una grande curiosità e dalla voglia di esplorare il mondo oltre ai confini che abbiamo tracciato, non solo quelli geografici, ma anche quelli fra noi e il mondo naturale. Mi piace l’idea di essere diventata una persona che nella sua vita quotidiana esplora tematiche fondamentali, ne ha fatto un lavoro e lo faccia attraversando confini fisici e mentali.
WANE è l’acronimo di We Are Nature Expedition, una spedizione per comprendere quello che è il rapporto tra uomo e natura, come le attività umane impattano sulla biodiversità e quali sono i progetti che stanno facendo la differenza lungo quella strada mitica che è la PANAMERICANA. Un crocevia di culture che unisce Alaska e Argentina ma che attraversa anche la maggior parte degli ecosistemi esistenti.
Sulla carta, il progetto nasce nel dicembre del 2020 in un momento in cui ci si stava iniziando a “risvegliare” dalla chiusura della pandemia e in molti hanno cominciato a ridiscutere il rapporto human-nature. A fronte di questo dialogo mi sono chiesta: siamo sicuri che avendo spiegato come la pandemia è stata determinata dalla crisi ecologica questo ragionamento non abbia trasformato, agli occhi di alcuni, la natura in una natura matrigna, in un qualcosa di cui aver paura? Notavo poi che si parlava molto di cambiamenti climatici ma poco di biodiversità. Per me questo rappresentava un gap da colmare, un gap comunicativo che era necessario colmare spiegando che cosa fosse esattamente la biodiversità. E quindi, come farlo? La risposta che mi sono data è attraverso l’empatia, l’empatia che può salvare il mondo. Da lì l’idea di scatenare quest’ultima tramite il racconto di storie che si svolgono proprio lungo la Panamericana. Una spedizione attraverso 15 paesi dove si trovano storie di persone che lottano per salvare un mondo naturale da cui dipendono ma anche storie di specie animali e vegetali che cercano di sopravvivere all’impronta umana. È un progetto di 1 anno e mezzo, multimediale che è già diventato anche un progetto per le scuole, e diventerà una mostra.
Purtroppo la storia ha dimostrato che il rapporto uomo-natura è fatto di dominio. Il nostro desiderio di gestire la natura è, e continua ad essere, il nostro errore più grande: voler plasmare il mondo naturale a nostra immagine e somiglianza. È un errore in cui continuiamo a cadere, come ci testimoniano alcune recenti storie italiane. E lo facciamo, spesso, senza considerare le comunità umane come elementi che fanno parte di un insieme più grande di relazioni. C’è un report molto interessante che racconta come i progetti di reintroduzione e ripopolamento di una specie funzionano di più in luoghi magari non perfetti a livello di habitat ma dove le persone sono contente e preparate ad accoglierla. Invece in luoghi ecologicamente perfetti dove le persone non apprezzano questo lavoro la specie prima o poi fa una brutta fine. È un errore che continuiamo a fare perché continuiamo a separate l'ecologia, dalla comunicazione e dalle politiche. Nel reportage però ci sono anche storie molto belle di lotta e di passione, di vero amore per la natura, ve ne racconto una tra tante: la regione del Peten, in Guatemala, è stata devastata (e continua ad esserlo) dalla deforestazione per fare spazio alla monocoltura e all'allevamento di bestiame. Negli ultimi anni, poi, si sta assistendo all'affermarsi della marco-ganaderia, ossia l'allevamento illegale collegato al narcotraffico. Qui, però, ZeroCo2 sta lavorando con le comunità locali per riforestare il paese e assicurare loro un futuro grazie alla formazione e ad un indotto economico assicurato proprio dalla natura. Queste persone, che fanno parte per lo più dell'etnia Maya, hanno una consapevolezza incredibile dell’impatto della deforestazione e sono in grado di spiegare chiaramente che da quando non ci sono più alberi, gli impatti dei cambiamenti climatici sono ancora più forti e fa molto più caldo. Tra l’altro il Guatemala è attraversato dal corridoio arido che è questa striscia di terra dove si muore di fame e di sete a causa di tutta una serie di concause ecologiche aggravate dai cambiamenti climatici. E se posso sono così consapevoli, come possiamo noi ignorare gli effetti delle nostre azioni?
La risposta alla prima domanda è purtroppo no, non siamo informati su cosa vuole dire biodiversità. La biodiversità è infatti la varietà e l’abbondanza degli organismi che abitano sul pianeta, non si tratta solo del numero delle specie ma proprio di varietà e abbondanza. La sostenibilità invece è un approccio che può essere funzionale al cambiamento del rapporto uomo-natura quindi sicuramente in difesa della biodiversità ma rimane un approccio, un percorso, che si basa su tre pilastri: ambientale, economico e sociale. La differenza è fondamentale.
La biodiversità è poi un elemento che dovrebbe stimolare la fantasia e la curiosità di chiunque! Noi per esempio non abbiamo idea del numero effettivo di specie che abitano il pianeta perché ne abbiamo catalogate circa 8 mln ma in realtà si parla di 30 mln se non addirittura di miliardi di specie perché ne vengono scoperte sempre di nuove. Il problema è che a fronte di tutte quelle che scopriamo altrettante stanno scomparendo, il tasso di estinzione è tra le 100 alle 1000 volte superiore a quello che dovrebbe essere normalmente e il fatto di non conoscere quante specie esistano sul pianeta equivale anche a dire che non sappiamo quante ne stiamo perdendo, c’è chi parla di 100 al giorno.
In realtà moltissime cose! Le scelte individuali sono fondamentali, e anche di questo parlo anche nel mio libro. Se sentiamo lontano un tema ci sentiamo impossibilitati nel fare qualcosa, la scelta individuale è invece fondamentale e le nostre azioni possono andare dal conoscere – che sembra la cosa più banale ma non lo è affatto - al provare a capire cos’è la biodiversità, facendoci stimolare dalle incredibili storie della natura. Una sfida che lancio sempre è quella di guardarsi attorno e notare come tutto sia legato alla biodiversità. È un esercizio che dovremmo fare ogni giorno. Persino i droni prendono spunto dal volo del colobrì. Così come i led sono sempre più efficienti grazie anche allo studio della bioluminescenza nelle lucciole. E ancora, 35mila specie vegetali vengono usate per creare medicine che ognuno di noi ha a casa. Le nostre scelte possono anche essere delle attività divertenti come coltivare nel nostro giardino delle piante utili a tutti gli impollinatori. Sembra un discorso banale ma non lo è nel momento in cui la vita di un’ape si misura in battiti d’ali, il che significa che se un’ape deve percorrere sempre più distanza per trovare cibo o acqua, ovviamente morirà prima. Piantando invece delle specie fondamentali per il loro nutrimento ecco che allunghiamo e prolunghiamo la vita dell’ape. Un’altra cosa può essere fatta è andare a guardare sempre il tipo di prodotto che andiamo a comprare. Qui non parlo solo di prodotti di cui ci nutriamo ma anche di quelli che compriamo in un negozio di vestiti, la fast fashion è una delle industrie più impattanti per la biodiversità. Lo scegliere cosa comprare e se comprare va fatta sempre. Il singolo fa la differenza nel momento in cui quel singolo diventano miliardi di persone. Questi sono solo alcuni esempi ma servono per capire che in realtà si può fare tanto.
Si, fino ad un certo punto. Mi spiego meglio: è difficile in un momento in cui si vive in paese come l’Italia dove dedicarsi ad un certo tipo di professione nasconde dei preconcetti e soprattutto in cui lavorare con la natura è un qualcosa che appartiene ancora un po’ ad un’”élite”. Mi dispiace dirlo ma nel momento in cui ti confronti con altre realtà ti accorgi di quanto l'Italia sia un paese in cui tanti si inventano un mestiere senza magari avere le conoscenze per farlo, e chi invece ne ha i titoli e le capacità, è costretto a scappare all'estero. La fuga dei cervelli dei giovani è cosa nota ma sembra non aver ancora attratto abbastanza l'attenzione di chi di competenza. Per non parlare del mondo accademico che, a parte qualche rara eccezione, lascia pochissimo spazio all'innovazione e alla sperimentazione da parte dei giovani ricercatori. Spesso per promuovere il proprio personale interesse di ricerca, altre volte per dare lustro alla propria persona. In Italia si fa fatica a investire sui giovani che invece stanno rivoluzionando il mondo. In molti altri paesi, con cui mi interfaccio quasi quotidianamente, a trent'anni puoi essere già CEO di un'azienda o aver fondato un'associazione che combatte per la tutela di una specie, oltre ad a erne scoperta e catalogata una. Quindi sì, in Italia è ancora difficile ma non è una buona ragione per non farlo. Un lavoro legato alla natura deve essere mosso da enorme passione come può essere medicina, se uno sente che questa è la sua strada, studi scienze naturali, studi biologia, studi qualsiasi cosa lo porti a farlo, ciò che è importante è avere un grande spirito di iniziativa sapersi inventare e reinventare.
Bisogna essere mossi da passione e perseverare. Ma anche avere la voglia e la capacità di muoversi in settori trasversali. È importante specializzarsi ma avere una preparazione multidisciplinare aiuta molto in un momento di crisi sistemica come questo. Pensa al progetto WANE: al suo interno c'è la comunicazione, l'ecologia, la tecnologia, le politiche, la ricerca…
Ai ragazzi più giovani dire di non farsi abbattere e di crearsi il proprio sogno. Alle scuole, invece, di guidarli nella realizzazione dei loro desideri. È un compito molto più importante, e difficile, di quello di spiegare l'Odissea di Omero o le equazioni di secondo grado.
Scritto il 19-05-2023